Enrico Tubertini, il fascino del colore, la magia dei frammenti che compongono la vita
La sinergia tra differenti forme espressive è una caratteristica dell’arte contemporanea, soprattutto per quegli artisti che non riescono, e non vogliono, restare all’interno di confini netti e definiti, perché la loro natura li spinge a cercare modalità inedite, a sperimentare forme creative basate sulla contaminazione di diverse realtà e di differenti approcci verso l’arte. Il protagonista di oggi è una voce fuori dal coro, un funambolo che riesce perfettamente a dare un nuovo senso alla tecnica che sceglie di adottare per manifestare il suo impulso creativo, così come alle sue differenti anime convogliandole nelle sue affascinanti opere.
Il Novecento è stato un secolo pioneristico dal punto di vista della vitalità artistica, intesa sia in senso stretto per l’avvicendarsi di molteplici movimenti che hanno modificato profondamente le linee guida più tradizionali e aperto la strada a innovazioni e stili impensabili fino alla fine del secolo precedente, sia in senso più ampio perché le scoperte tecnologiche e il rapido evolversi di esse ha reso possibile un dialogo tra le differenti modalità espressive e dato origine a nuove forme d’arte, erroneamente considerate, almeno inizialmente, come minori. La fotografia, in principio osteggiata dai maggiori letterati e artisti dell’epoca in cui ha mosso i suoi primi passi ma poi trasformata in mezzo per dar vita a vere e proprie opere d’arte, documenti indimenticabili dei tempi passati; il cinema, che ha coinvolto il grande pubblico regalando immagini emozionanti e storie poetiche, quelle dei tempi del muto, e che poi è entrato con le sue icone nel mondo dell’arte grazie alla Pop Art di cui Andy Warhol fu fondatore; e ancora la musica, che ha spesso usato, o si è ispirata, a opere contemporanee per le copertine di gruppi di livello internazionale come ad esempio i Pink Floyd, il cui grafico di riferimento, Storm Thorgerson era affascinato dal Surrealismo, e in particolar modo dalla Metafisica di René Magritte al punto da ispirarsi ai suoi dipinti per elaborare la grafica dei dischi del gruppo. È esattamente in questo quadro sinergico e di interrelazione tra varie forme espressive che si sviluppa l’estro creativo dell’emiliano Enrico Tubertini, la cui forte inclinazione artistica si manifesta fin da bambino, e che ha seguito un percorso professionale trasversale e differenziato per poi giungere all’attuale stile personale, non solo nella rappresentazione visiva bensì anche nel concetto e nella ricerca che dentro le sue opere si cela. L’esperienza professionale come fotografo emerge sia dalla scomposizione delle immagini, quella frammentazione di piccoli tocchi di colore, che a un’osservazione più accurata si rivelano essere minuscoli fotogrammi che di per sé raccontano una storia, e sia dalla scelta della Digital Art come mezzo creativo in virtù del quale crea una composizione complessa e articolata del personaggio, la persona o l’evento che sceglie di raccontare. E in questo si estrinseca l’anima Pop di Enrico Tubertini, quella tendenza a rendere iconici personaggi che catturano la sua stima e ammirazione,
oppure persone comuni, committenti che si affidano a lui per veder realizzata un’opera che parla di loro, della loro vita, dei loro affetti, dei dettagli a cui si sentono più legati; non solo, la realizzazione dell’opera, che dunque prende il nome di personografia, secondo l’altra particolare inclinazione di Tubertini, quella cioè di creare parole laddove quelle esistenti non siano sufficientemente calzanti per definire il suo mondo artistico, avviene in collaborazione con il committente che può agire, suggerire, narrare in prima persona, rendendo dunque l’opera un vero e proprio percorso interattivo. È un tuffo nel mondo della persona, o del personaggio, quello che compie l’artista, un’esplorazione di un vissuto di cui mette in evidenza ciò che coglie la sua sensibile attenzione, ciò che rappresenta maggiormente le caratteristiche, anche cromatiche, del protagonista dell’opera che si appresta a realizzare. La peculiarità di Warhol di ripetere le immagini dei suoi ritratti creando le serie dei suoi celeberrimi multipli, si amplia nelle personografie di Tubertini, perché i fotogrammi, quelle minute storie nella storia che compongono il puzzle personale dei soggetti protagonisti, sono ripetuti a volte in maniera quasi infinitesimale, costituendo in qualche modo un fermo immagine all’interno del film – e qui entra in gioco la sua anima di regista – che viene raccontato, un’affascinante viaggio fatto di ricordi, di istanti catturati, di momenti privati all’interno dei quali immergersi per compiere un cammino indietro nel tempo grazie al quale si è attuato e concretizzato il presente. Sembra di trovarsi davanti a immobili immagini in movimento, un ossimoro questo necessario per descrivere l’impatto emotivo che le opere, o meglio le personografie, di Enrico Tubertini suscitano; la presenza di quei tasselli di immagini, di quelle micro realtà che compongono il ritratto, inducono l’osservatore ad avvicinarsi per scoprirne il segreto, quel dettaglio dentro cui è racchiuso tanto altro, scrigno emotivo di un particolare fondamentale nel percorso dell’esistenza. A loro volta quelle tessere, che non sono funzionali a restituire all’osservatore il senso compiuto dell’immagine come nel caso dei mosaici prima e dei pixel fotografici poi bensì frammentano il risultato per sottolineare quanto ogni piccolo e apparentemente trascurabile dettaglio del vissuto possa invece assumere grande rilevanza, quelle tessere dicevo, prese singolarmente si trasformano in opere che, sulla base della forma finale che Tubertini desidera dare loro, prendono il nome di digitografie, quando l’artista prende un singolo particolare e lo rende protagonista assoluto e ripetuto, trasmutografia, quando mette in primo piano un oggetto attraverso la sua tavolozza di forme colorate; e poi divisografia, pittografia, un mondo tutto da scoprire quello di Enrico Tubertini. Il suo stile Pop Digital è innovativo e particolare perché all’interno nasconde non solo i dettagli della vita dei protagonisti delle sue opere, che possono essere persone comuni o personaggi famosi che lo ispirano per la traccia che hanno lasciato con il loro cammino, le loro ricerche o il loro talento, bensì anche l’intera storia di una vita oppure solo di una parte di essa che rappresenta in pieno l’essenza e la sostanza di chi ne è stato protagonista. Nell’opera Leo500, creata in occasione dei cinquecento anni dalla morte del grande maestro Leonardo da Vinci, Tubertini prende come contenitore di emozioni l’Uomo Vitruviano, che diviene così modello ispiratore per approfondire i momenti salienti della storia del genio del Rinascimento, come artista ma anche come scienziato e inventore; all’interno della personografia sono presenti immagini dei dipinti più celebri, dei suoi studi sul volo, alcune curiosità poco conosciute, come la passione di Leonardo per il vino rosso che viene simboleggiata dall’artista con un calice molto vicino all’immaginario comune del Graal, e la sintesi compiuta sul senso dell’uomo che in fondo rappresenta l’umanità intera e di cui il neonato posto al centro del suo addome rappresenta secondo Tubertini la capacità di generare e proseguire il percorso evolutivo e conoscitivo dell’esistenza. Questa personografia è stata esposta per molti mesi al Museo delle Macchine di Leonardo a Venezia. Sono delle vere e proprie ricerche quelle che compie Enrico Tubertini ogni qualvolta decide di produrre una nuova opera, si insinua nella storia, nei percorsi e nelle curiosità che avvolgono le esistenze di grandi personaggi come delle persone comuni che gli commissionano la realizzazione di un lavoro che parli di loro. La trasmutografia Hysterya è un frammento della personografia F, dedicata a Sigmund Freud, e costituisce uno dei simboli del percorso dello psicanalista austriaco, quello compiuto sulla psicologia femminile alla ricerca delle cause dell’isteria, appunto, e che rimarrà indissolubilmente legato al suo nome.
Le opere della serie più Pop, trasmutografie in cui gli oggetti comuni sono protagonisti assoluti, come Coppia, Quadriocchi e Jeko Pink, non possono fare a meno di conquistare l’osservatore che si sente attratto da quell’esplosione di colori in grado di stravolgere l’essenza di un oggetto ordinario e renderlo straordinario al punto di poter avere un ruolo di primaria importanza, di potersi guadagnare il diritto di entrare nelle case in maniera differente, non più come semplice articolo di uso comune bensì sotto forma di opera d’arte in grado di adornare le pareti, infondendo di energia positiva e colorata l’intera casa. Enrico Tubertini ha all’attivo molte mostre collettive in Italia – Roma, Mantova, Venezia, Bologna, Milano, Teramo, Saint Vincent, Parma, Udine – e all’estero – Zurigo, Copenhagen, Vienna, Lisbona, Dubai, Oman, Eggedal in Norvegia -, quattro personali di cui una, Ritratti Ri-trattati, presso la Galleria d’Arte Contemporanea di Faenza. Ha ricevuto diversi riconoscimenti e un terzo premio per l’opera Fake or News?; Leo 500 è stata finalista al Premio Cairo 2021. Questa presso la Galleria Il Leone è la sua quarta mostra personale a Roma.
Marta Lock
PUNTI DI VISTA-MOSTRA PERSONALE ENRICO TUBERTINI
Galleria Il Leone
via Aleardo Aleardi 12, Roma
dal 4 al 16 novembre 2022
VERNISSAGE
Venerdì 4 novembre ore 18.00